Lessico Civico di Miryam Borrello

Documento di riflessione sulle Liste Civiche redatto da Mirjam Borrello:

Lessico civico

Nella narrazione politica attuale, discontinua rispetto ai progetti che enuncia e spesso afasica rispetto alle domande che la avviano, l’attenzione verso l’esperienza del civismo appare insieme necessaria e feconda.

Le liste civiche, in effetti, dal loro sorgere nel Novecento, hanno saputo interpretare le istanze della società orizzontale (secondo la definizione proposta da Marzano e Urbinati) e, pertanto, si presentano validamente oggi come luogo di incontro, partecipato e vitale, in cui ridisegnare le prospettive e provvedere, con modalità assertive e direttive, alla costruzione di un ethos condiviso.

La capacità di intercettare le richieste, plurali e diversificate, poste dalla società civile, e il radicamento territoriale capillare che elide la distanza (o comunque ne marginalizza la consistenza) tra rappresentati e rappresentanti, realizzano infatti un meccanismo compensativo indispensabile davanti alla degenerazione entropica dei partiti politici, icasticamente rappresentata da percentuali di astensionismo sempre crescenti. Le competenze variamente espresse dalla società, incanalate entro le reti del civismo, manifestano infatti indubbiamente una capacità responsiva, rispetto alle istanze del collettivo, di cui sembrano difettare i partiti tradizionalmente intesi.

Tuttavia, la pur necessaria considerazione dei contenuti che il civismo innesta nell’articolazione del dibattito politico non può essere “ridotta” a una attività che, come rileva Pierre Rosanvallon, costituisce sorveglianza e stimolo nella implementazione delle politiche pubbliche. L’invito, che forse più incisivamente queste forme di cittadinanza responsabile formulano, investe la necessità di ridefinire la grammatica stessa tramite cui il discorso politico si declina. In quanto compendiano la formulazione teorica di Amarthya Sen, che coniuga libertà individuale e impegno sociale, dimostrano l’inarrestabilità del processo di trasformazione strutturale della partecipazione politica e, in tal senso impongono una rielaborazione contenutistica del concetto di rappresentanza. Questa, infatti, esercita la sua capacità governativa nella misura in cui sa produrre un racconto corale, nella convergenza di quell’istanza di diritti e di diritto che, come notava Stefano Rodotà, si manifesta ovunque e innerva la stessa politica.

Il civismo, in tal senso, si inserisce entro un quadro frastagliato e complesso, o più propriamente fluido (secondo la chiave ermeneutica formulata da Bauman), ponendo il tema dell’ascolto e della partecipazione non come dispositivi di moral suasion, ma al centro delle procedure decisionali. Se si accetta, allora, la proposta teorica di Norberto Bobbio, per la quale la democrazia è per gran parte questione di procedure, la rigerminazione di questo fenomeno non può che investire le modalità tramite le quali si disciplina la partecipazione anche entro i partiti politici: è quindi sulle scelte procedurali che si può rinvigorire la volontà, ad oggi alquanto ipotesa, di rispondere a queste istanze di partecipazione, che appaiono peraltro ormai indifferibili.

Quanto mai opportuno appare allora soffermare l’attenzione sulla insuperabilità delle primarie che, ad oggi, costituiscono il momento proprio in cui il dato partecipativo possa registrarsi e accreditarsi. Queste divengono il canale privilegiato per restituire alla collettività una voce in capitolo, divengono lo strumento regolativo e strutturato tramite il quale offrire uno spazio di interazione, ancora prima che decisorio. Realizzano così un’adesione non retorica, ma fattiva, rispetto all’esigenza di superare l’esautorazione della cittadinanza; consentono di dismettere le pratiche autosabotanti di discussioni interne, sempre meno percepite come confronto e sempre più avvertite come lotte fratricide, avulse da qualunque progetto o idea di Paese. E, soprattutto, contribuiscono a smentire quel sentire diffuso che riconosce nella politica un’inadeguatezza strutturale rispetto alla capacità di costruire una visione ampia delle cose, uno spazio identitario entro il quale collocarsi, non in via accidentale o coatta, ma consapevole e responsabile. Possono frenare quella china intrapresa (di cui la legge elettorale approvata sembra prima facie fare eco, laddove non contempli la possibilità di selezionare i candidati alla rappresentanza nazionale) che conduce alla rottura (insanabile, forse, ma certamente economizzabile) rispetto al patto di fiducia che deve legare rappresentati e rappresentanti.

Un’impostazione direttiva che tentasse di tacitare questa istanza di partecipazione, responsabile e responsabilizzante, costituirebbe una linea di azione difficilmente condivisibile e certamente poco comprensibile.

Mirjam Borrello

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