Nel mettere a punto alcune idee per l’avvio di una elaborazione politica sul tema delle periferie torinesi, è opportuno evidenziare due istanze in certo modo preliminari:
- Le periferie torinesi sembrano storicamente essere piuttosto impermeabili ad evoluzioni relativamente veloci. E’ l’esperienza storica della zona attorno al Lingotto: il quartiere – o meglio il borgo – accanto alla fabbrica antica che da decenni ha mutato radicalmente connotato è tuttora abbastanza immutato rispetto a quello che era all’epoca Fiat. Allo stesso modo, vi è la sensazione credibile che altre situazioni simili – caso Nuvola Lavazza o Juventus Stadium – non siano in grado di avviare da soli una trasformazione di rivitalizzazione delle aree circostanti. Vi sono peraltro motivi per apprezzare positivamente questo fatto (la città esprime una forte resistenza verso quei cambiamenti che implicano una rapida sostituzione della popolazione residente con altra più abbiente, la cosiddetta gentrificazione) e motivi per pensare che oggi un dinamismo maggiore non solo è possibile, ma probabilmente necessario: in ogni caso è un fattore da considerare.
- Da un punto di vista più politico, nel delineare una riflessione in proposito, va sottolineata l’importanza di definire proposte e modalità di azione in grado di attrarre consenso e condivisione politica. Quello che per usare un termine sentite negli incontri di Alleanza è “al di là di Corso Regina” è infatti un terreno necessario per consolidare un consenso che alleanze sociali strettamente stile – Castellani non sono più in grado da sole di realizzare in misura sufficiente. Dunque è necessario riflettere su un forte connubio tra proposta, credibilità e facilità di comunicazione.
In merito ai due punti precedenti è utile partire da alcune aspetti “immobiliari”. A parte una quota tuttora di pertinenza ATC, non molto estesa, il patrimonio immobiliare delle periferie è largamente costituito da piccola proprietà familiare, storicamente appartenente a famiglie di reddito medio e anche medio basso, in misura significativa legata ad abitazione anziane pre Anni Settanta, e da condomini Anni Ottanta. Oggi tale patrimonio è sostanzialmente fuori mercato, per ragioni di decadimento degli edifici, forti costi energetici e di gestione, mutato contesto demografico ed altro ancora. Chi ha una parte della propria ricchezza immobilizzata in tali asset non riesce a valorizzarla, e anche dal punto di vista ereditario spesso non c’è appetibilità. Si tratta di una situazione ben descritta a proposito di Mirafiori e Vallette (vedi La Stampa di oggi in cronaca torinese).
Allo stesso tempo, questo aspetto “chiuso” delle periferie ha un suo contraltare nella chiusura delle relazioni sociali che colpisce tali ambienti. La crisi economica e le difficoltà di occupazione, in particolare dei giovani, insistono su un tessuto sociale dove spesso è forte la convinzione che non valga la pena investire in formazione, in creatività, in esperienze diverse, spesso per oggettiva mancanza di risorse economiche adeguate. Senza scambio con l’esterno, però, le periferie tendono a divenire ghetti, dove cresce più la frustrazione che la voglia di mettersi in gioco, e le risorse giovani migliori scappano.
Qui entra in gioco la politica immobiliare posta in essere dalla parte pubblica (il Comune) ma anche dai grandi player immobiliari entrati in vario modo in scena sia nel corso della trasformazione torinese (le Spine) sia negli anni più recenti, per quanto assai più aridi sotto questo profilo. Non senza differenze tra caso e caso, va detto che spesso l’attenzione circa il lato sociale anziché puramente urbanistico e fondiario della trasformazione avviata è stata modesta, e non raramente questa mancanza, e la conseguente perdita di qualità sociale della vita locale ha contribuito ad abbassare la redditività dell’investimento immobiliare stesso, in parte già in capo ai promotori, e in parte notevole in capo a coloro che hanno acquistato successivamente. Questo avviene al netto della crisi immobiliare: è una componente aggiuntiva che si aggiunge alle difficoltà generali del mercato. Va detto, peraltro, che esistono casi in Europa di comportamenti assai diversi da parte degli operatori immobiliari: addirittura, vi sono casi nei quali l’avvio effettivo della valorizzazione immobiliare è stata preceduta da un periodo più o meno esteso di investimenti per facilitare la dinamica sociale, o quanto meno la tenuta di un tessuto di vicinato fatto di legami, collaborazioni e disponibilità ad accettare novità e piccoli cambiamenti, quale fattore che avrebbe poi nel tempo garantito il buon inserimento della valorizzazione progettata. Sotto questo profilo, vi sono segnali che spingono a pensare che in alcune aree le condizioni attuali non sono negative per avviare questo percorso. Esiste una vitalità innegabile rappresentato dalle associazioni di via, dalla presenza di aggregazioni giovanili non del tutto esauste, da un livello di criminalità contenuto rispetto a quanto una certa divulgazione fa credere.
Nella parte che segue propongo alla considerazione degli amici due ambiti di proposte: la prima più concentrata sul breve periodo e su azioni in buona misura alla portata della politica locale, meglio se assecondata sul piano nazionale; la seconda invece contiene qualche valutazione più strategica e di lunga gittata.
Per venire rapidamente ad osservazioni e proposte in grado di stimolare la messa a punto di una proficua proposta di programma:
- L’obiettivo principale da considerare consiste nell’avvicinare le periferie al quadro di relazioni ed opportunità che è a disposizione di altre zone del tessuto cittadino. Oggi questa strategia passa per programmi pubblici di investimento (seconda metropolitana, come si dirà) ma anche per iniziative leggere di solidarietà, recupero di qualità urbana, rilancio di solidarietà orizzontali.
-
Come è noto, la
casa è oggetto di una serie di trattamenti fiscali di favore per quanto
riguarda la ristrutturazione, non solo energetica. La dimensione di
questi trattamenti è finora stata pensata in chiave sostanzialmente
individualistica, anche per evitare contese condominiali. Tuttavia è
concepibile una estensione in chiave locale, di prossimità per così
dire:
- In direzione della solidarietà: già oggi cooperative immobiliari torinesi raccolgono dagli associati una quota destinata a soccorrere i soci in caso di difficoltà non volontarie nei pagamenti, senza alcun sconto fiscale. Perché non battersi per un riconoscimento in tal senso, da offrire in modo appropriato anche in ulteriori direzioni?
- In direzione della qualità e del decoro: perché non un sistema di incentivi per ridefinire gli esterni, anche alla luce di un “condominio verde” in chiave meno glamour di Milano ma più diffuso e coinvolgente?
- C’è anche un passaggio ulteriore, dato dall’applicazione di una sorta di “bonus artistico” da spendere sulle case e da rendere appetibile per giovani artisti e per opere da collocare sulle facciate, negli atri o nei cortili, piuttosto che adoperare Luci d’Artista per fare strampalate iniziative di apostolato missionario.
- A proposito dei cortili, Torino vede parecchi isolati delle periferie caratterizzati da interni-cortili un tempo ad uso industriale o di artigianato, oggi abbandonati con un lascito di capannoni e ambienti in disuso. Questo deserto è stato oggetto nel recente passato di idee progettuali da parte di studi di architetti e designer con temi e suggestioni che andrebbero ripresi e supportati.
- Nel quadro di una cucitura assolutamente da perseguire con l’associazionismo e la spontaneità locale un tema interessante è quello del “guerilla gardening”, ovvero delle ripiantumazione di aree non da parte del servizio pubblico ma da parte di cittadini più o meno strutturati al riguardo. Con le ovvie cautele, sarebbe utile fare leva su tali energie piuttosto che avversarle. Collegato a ciò, vi è anche un problema di valorizzazione delle aree verdi periferiche, piuttosto vaste (Parco Colonnetti, verde tra via Biologna e via Petrella) ma poco vissute dalla città nel suo insieme.
- In altre città, il coinvolgimento della piccola proprietà in iniziative pubblico –private volte a supportare nel tempo il valore immobiliare della loro ricchezza è una forma potente di affiancamento alla trasformazione urbana a regia pubblica: esiste a Torino un quadro generale che ne possa fare oggetto di sostegno ad una proposta politica? A parere di chi scrive oggi questa è una riflessione opportuna e il momento potrebbe essere interessante al riguardo.
Passando a problematiche più strutturate:
- Occorre in prima battuta esprimere un giudizio su quanto messo in opera dall’attuale governo municipale a proposito delle periferie, com’è noto suo cavallo di battaglia nel periodo elettorale. Sembra di poter dire al riguardo che si tratta di un risultato estremamente scarso, senza indirizzi e senza continuità. Si è trattato più che altro di un tentativo saltuario di ravvivare l’ordinaria amministrazione dovuta, proponendola come un importante svolta all’insegna del piccolo e bello (senza accento).
- Per ciò che concerne le politiche antisfratto e della casa, l’amministrazione attuale ha in sostanza mantenuto la linea già intrapresa da quella precedente, puntando a sostenere fin dove possibile la permanenza dei morosi nei loro appartamenti tramite patti e transazioni con i proprietari, ridimensionando sia il social housing di emergenza che quello più strutturale. L’azione si è concentrata sull’acquisto di alloggi vuoti e disponibili a breve termine, piuttosto che sulla creazione di nuclei abitativi orientati socialmente e supportati dalla figura del gestore sociale. Questa strada, con tutti i limiti derivanti da una legislazione piemontese del tutto inappropriata, è stata invece perseguita dal privato sociale. Allo stesso modo le intuizioni di ATC circa la necessità di affiancare al tema della casa quello di un welfare più dinamico ed adeguato ha trovato lettera morta in Comune, e maggiore attenzione in Regione.
- Un accenno va fatto alla questione delle risorse disponibili per l’ente locale per implementare iniziative. Senza entrare in questa sede nel merito di singoli provvedimenti, vanno invece evidenziate le contraddizioni politiche in questo campo. La prima, più evidente, riguarda il fatto che in presenza di un Governo Nazionale pronto a fare deficit spending senza curarsi degli effetti secondari, abbiamo invece un Governo Locale che esegue solo tagli e manovre di ridimensionamento, come se fosse il vero erede di Quintino Sella. L’idea che date le politiche nazionali sarebbe possibile, anche politicamente, chiedere più impegno rispetto a Torino sfugge totalmente (e infatti Roma si fa pagare il proprio debito da tutti noi..). inoltre la china di aumentare le tasse locali – a vario titolo, dai parcheggi a tasi e tari etc (manca solo la tassa sul macinato ..) – non è neutra, non sfugge a chi deve decidere se venire qui piuttosto che andare a Milano o a Novara: la conseguenza è di rendere la città sempre meno appetibile per le famiglie e il mid-management, che già debbono fronteggiare obiettivamente le minori opportunità di Torino rispetto ad altri centri. Per questa via si finisce solo nel riproporre una spirale fiscale negativa, nella quale le fasce più abbienti lasciano la città e ci sono sempre meno risorse per i servizi, visto che chi rimane ha bisogno di servizi ma non è inj grado di pagarli. La strada plausibile per affrontare l’impasse, quella di una collaborazione ben costruita tra pubblico e privato, per inciso anche a proposito di periferie, è avversata ideologicamente da chi vede il futuro nel ritorno del pubblico ad ogni costo.
- Si è accennato prima alla questione della mobilità e dei trasporti. Il tema della seconda linea di metropolitana è in tal senso essenziale. Attuare il percorso nord – sud (senza entrare qui nel merito delle specifico della linea) permette di consolidare tutti i suggerimenti precedenti entro un quadro ragionevole di valorizzazione degli immobili e di evoluzione in prospettiva della composizione sociale delle periferie, con la potenzialità di facilitare l’insediamento di nuova popolazione studentesca, in linea con la prospettiva di Torino Città degli Studi, e anche la valorizzazione degli immobili secondo i canoni moderni di utilizzo temporale (AirBnB). Va da sé che questo condurrà anche ad una maggiore appettibilità per insediamenti di terziario e industria sofisticati (a meno che non si voglia mettere tutta quanto in pochi grandi contenitori come TNE..). Nell’attesa ultra decennale che ciò si verifichi ci vuole però un breve-medio termine convincente, in termini di preferenze per percorsi riservati al trasporto pubblico in modo alzarne la velocità commerciale.
- I buoni rapporti della Città con Cassa Depositi e Prestiti, lascito delle precedenti amministrazioni, esercita tuttora qualche effetto. Sono numerosi i progetti di trasformazione urbana all’attenzione di CDP in varie zone cittadine. Si tratta però di spostare l’attenzione di questo importante player dai progetti di riconversione di vaste aree, anche ex industriali, ad una serie di interventi più piccoli ma coordinati e improntati a quella cooperazione di quartiere di cui si è accennato in punti precedenti. si tratta, in sostanza, di creare un certo numero di volani di cambiamento, diffusi sul territorio e curati con perseveranza da una coalizione tra ente locale, interessi diffusi e player finanziari attenti ad una dimensione sociale del proprio investimento.
- Parlando di periferie qui si è fatto cenno solo alle problematiche strettamente torinesi, ma è evidente che molte idee e ragionamenti si applicano alla dimensione metropolitana, perlomeno nella cerchia più vicina al capoluogo. L’assenza di un senso profondo di responsabilità e di condivisione con l’area vasta attorno alla città è del resto uno dei connotati politici più chiari e peggiori dell’attuale governo cittadino, che in questi giorni tenta goffamente con le parole del Vicesindaco di contrapporre le circoscrizioni torinesi ai Comuni del vicinato.

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