APPUNTI PER UN PROGRAMMA POLITICO ED AMMINISTRATIVO SULLE PERIFERIE TORINESI
Cita da Davide WEBMASTER su Aprile 17, 2019, 9:08 pmNel mettere a punto
alcune idee per l’avvio di una elaborazione politica sul tema delle
periferie torinesi, è opportuno evidenziare due istanze in certo modo
preliminari:
- Le periferie
torinesi sembrano storicamente essere piuttosto impermeabili ad
evoluzioni relativamente veloci. E’ l’esperienza storica della zona
attorno al Lingotto: il quartiere – o meglio il borgo – accanto alla
fabbrica antica che da decenni ha mutato radicalmente connotato è
tuttora abbastanza immutato rispetto a quello che era all’epoca Fiat.
Allo stesso modo, vi è la sensazione credibile che altre situazioni
simili – caso Nuvola Lavazza o Juventus Stadium – non siano in grado di
avviare da soli una trasformazione di rivitalizzazione delle aree
circostanti. Vi sono peraltro motivi per apprezzare positivamente questo
fatto (la città esprime una forte resistenza verso quei cambiamenti che
implicano una rapida sostituzione della popolazione residente con altra
più abbiente, la cosiddetta gentrificazione) e motivi per pensare che
oggi un dinamismo maggiore non solo è possibile, ma probabilmente
necessario: in ogni caso è un fattore da considerare.- Da un punto di
vista più politico, nel delineare una riflessione in proposito, va
sottolineata l’importanza di definire proposte e modalità di azione in
grado di attrarre consenso e condivisione politica. Quello che per usare
un termine sentite negli incontri di Alleanza è “al di là di Corso
Regina” è infatti un terreno necessario per consolidare un consenso che
alleanze sociali strettamente stile – Castellani non sono più in grado
da sole di realizzare in misura sufficiente. Dunque è necessario
riflettere su un forte connubio tra proposta, credibilità e facilità di
comunicazione.In merito ai due
punti precedenti è utile partire da alcune aspetti “immobiliari”. A
parte una quota tuttora di pertinenza ATC, non molto estesa, il
patrimonio immobiliare delle periferie è largamente costituito da
piccola proprietà familiare, storicamente appartenente a famiglie di
reddito medio e anche medio basso, in misura significativa legata ad
abitazione anziane pre Anni Settanta, e da condomini Anni Ottanta. Oggi
tale patrimonio è sostanzialmente fuori mercato, per ragioni di
decadimento degli edifici, forti costi energetici e di gestione, mutato
contesto demografico ed altro ancora. Chi ha una parte della propria
ricchezza immobilizzata in tali asset non riesce a valorizzarla, e anche
dal punto di vista ereditario spesso non c’è appetibilità. Si tratta di
una situazione ben descritta a proposito di Mirafiori e Vallette (vedi
La Stampa di oggi in cronaca torinese).Allo stesso tempo,
questo aspetto “chiuso” delle periferie ha un suo contraltare nella
chiusura delle relazioni sociali che colpisce tali ambienti. La crisi
economica e le difficoltà di occupazione, in particolare dei giovani,
insistono su un tessuto sociale dove spesso è forte la convinzione che
non valga la pena investire in formazione, in creatività, in esperienze
diverse, spesso per oggettiva mancanza di risorse economiche adeguate.
Senza scambio con l’esterno, però, le periferie tendono a divenire
ghetti, dove cresce più la frustrazione che la voglia di mettersi in
gioco, e le risorse giovani migliori scappano.Qui entra in gioco
la politica immobiliare posta in essere dalla parte pubblica (il Comune)
ma anche dai grandi player immobiliari entrati in vario modo in scena
sia nel corso della trasformazione torinese (le Spine) sia negli anni
più recenti, per quanto assai più aridi sotto questo profilo. Non senza
differenze tra caso e caso, va detto che spesso l’attenzione circa il
lato sociale anziché puramente urbanistico e fondiario della
trasformazione avviata è stata modesta, e non raramente questa mancanza,
e la conseguente perdita di qualità sociale della vita locale ha
contribuito ad abbassare la redditività dell’investimento immobiliare
stesso, in parte già in capo ai promotori, e in parte notevole in capo a
coloro che hanno acquistato successivamente. Questo avviene al netto
della crisi immobiliare: è una componente aggiuntiva che si aggiunge
alle difficoltà generali del mercato. Va detto, peraltro, che esistono
casi in Europa di comportamenti assai diversi da parte degli operatori
immobiliari: addirittura, vi sono casi nei quali l’avvio effettivo della
valorizzazione immobiliare è stata preceduta da un periodo più o meno
esteso di investimenti per facilitare la dinamica sociale, o quanto meno
la tenuta di un tessuto di vicinato fatto di legami, collaborazioni e
disponibilità ad accettare novità e piccoli cambiamenti, quale fattore
che avrebbe poi nel tempo garantito il buon inserimento della
valorizzazione progettata. Sotto questo profilo, vi sono segnali che
spingono a pensare che in alcune aree le condizioni attuali non sono
negative per avviare questo percorso. Esiste una vitalità innegabile
rappresentato dalle associazioni di via, dalla presenza di aggregazioni
giovanili non del tutto esauste, da un livello di criminalità contenuto
rispetto a quanto una certa divulgazione fa credere.Nella parte che
segue propongo alla considerazione degli amici due ambiti di proposte:
la prima più concentrata sul breve periodo e su azioni in buona misura
alla portata della politica locale, meglio se assecondata sul piano
nazionale; la seconda invece contiene qualche valutazione più strategica
e di lunga gittata.Per venire rapidamente ad osservazioni e proposte in grado di stimolare la messa a punto di una proficua proposta di programma:
- L’obiettivo
principale da considerare consiste nell’avvicinare le periferie al
quadro di relazioni ed opportunità che è a disposizione di altre zone
del tessuto cittadino. Oggi questa strategia passa per programmi
pubblici di investimento (seconda metropolitana, come si dirà) ma anche
per iniziative leggere di solidarietà, recupero di qualità urbana,
rilancio di solidarietà orizzontali.- Come è noto, la
casa è oggetto di una serie di trattamenti fiscali di favore per quanto
riguarda la ristrutturazione, non solo energetica. La dimensione di
questi trattamenti è finora stata pensata in chiave sostanzialmente
individualistica, anche per evitare contese condominiali. Tuttavia è
concepibile una estensione in chiave locale, di prossimità per così
dire:
- In direzione della
solidarietà: già oggi cooperative immobiliari torinesi raccolgono dagli
associati una quota destinata a soccorrere i soci in caso di difficoltà
non volontarie nei pagamenti, senza alcun sconto fiscale. Perché non
battersi per un riconoscimento in tal senso, da offrire in modo
appropriato anche in ulteriori direzioni?- In direzione della
qualità e del decoro: perché non un sistema di incentivi per ridefinire
gli esterni, anche alla luce di un “condominio verde” in chiave meno
glamour di Milano ma più diffuso e coinvolgente?- C’è anche un
passaggio ulteriore, dato dall’applicazione di una sorta di “bonus
artistico” da spendere sulle case e da rendere appetibile per giovani
artisti e per opere da collocare sulle facciate, negli atri o nei
cortili, piuttosto che adoperare Luci d’Artista per fare strampalate
iniziative di apostolato missionario.- A proposito dei
cortili, Torino vede parecchi isolati delle periferie caratterizzati da
interni-cortili un tempo ad uso industriale o di artigianato, oggi
abbandonati con un lascito di capannoni e ambienti in disuso. Questo
deserto è stato oggetto nel recente passato di idee progettuali da parte
di studi di architetti e designer con temi e suggestioni che andrebbero
ripresi e supportati.- Nel quadro di una
cucitura assolutamente da perseguire con l’associazionismo e la
spontaneità locale un tema interessante è quello del “guerilla
gardening”, ovvero delle ripiantumazione di aree non da parte del
servizio pubblico ma da parte di cittadini più o meno strutturati al
riguardo. Con le ovvie cautele, sarebbe utile fare leva su tali energie
piuttosto che avversarle. Collegato a ciò, vi è anche un problema di
valorizzazione delle aree verdi periferiche, piuttosto vaste (Parco
Colonnetti, verde tra via Biologna e via Petrella) ma poco vissute dalla
città nel suo insieme.- In altre città, il
coinvolgimento della piccola proprietà in iniziative pubblico –private
volte a supportare nel tempo il valore immobiliare della loro ricchezza è
una forma potente di affiancamento alla trasformazione urbana a regia
pubblica: esiste a Torino un quadro generale che ne possa fare oggetto
di sostegno ad una proposta politica? A parere di chi scrive oggi questa
è una riflessione opportuna e il momento potrebbe essere interessante
al riguardo.Passando a problematiche più strutturate:
- Occorre in prima
battuta esprimere un giudizio su quanto messo in opera dall’attuale
governo municipale a proposito delle periferie, com’è noto suo cavallo
di battaglia nel periodo elettorale. Sembra di poter dire al riguardo
che si tratta di un risultato estremamente scarso, senza indirizzi e
senza continuità. Si è trattato più che altro di un tentativo saltuario
di ravvivare l’ordinaria amministrazione dovuta, proponendola come un
importante svolta all’insegna del piccolo e bello (senza accento).- Per ciò che
concerne le politiche antisfratto e della casa, l’amministrazione
attuale ha in sostanza mantenuto la linea già intrapresa da quella
precedente, puntando a sostenere fin dove possibile la permanenza dei
morosi nei loro appartamenti tramite patti e transazioni con i
proprietari, ridimensionando sia il social housing di emergenza che
quello più strutturale. L’azione si è concentrata sull’acquisto di
alloggi vuoti e disponibili a breve termine, piuttosto che sulla
creazione di nuclei abitativi orientati socialmente e supportati dalla
figura del gestore sociale. Questa strada, con tutti i limiti derivanti
da una legislazione piemontese del tutto inappropriata, è stata invece
perseguita dal privato sociale. Allo stesso modo le intuizioni di ATC
circa la necessità di affiancare al tema della casa quello di un welfare
più dinamico ed adeguato ha trovato lettera morta in Comune, e maggiore
attenzione in Regione.- Un accenno va fatto
alla questione delle risorse disponibili per l’ente locale per
implementare iniziative. Senza entrare in questa sede nel merito di
singoli provvedimenti, vanno invece evidenziate le contraddizioni
politiche in questo campo. La prima, più evidente, riguarda il fatto che
in presenza di un Governo Nazionale pronto a fare deficit spending
senza curarsi degli effetti secondari, abbiamo invece un Governo Locale
che esegue solo tagli e manovre di ridimensionamento, come se fosse il
vero erede di Quintino Sella. L’idea che date le politiche nazionali
sarebbe possibile, anche politicamente, chiedere più impegno rispetto a
Torino sfugge totalmente (e infatti Roma si fa pagare il proprio debito
da tutti noi..). inoltre la china di aumentare le tasse locali – a vario
titolo, dai parcheggi a tasi e tari etc (manca solo la tassa sul
macinato ..) – non è neutra, non sfugge a chi deve decidere se venire
qui piuttosto che andare a Milano o a Novara: la conseguenza è di
rendere la città sempre meno appetibile per le famiglie e il
mid-management, che già debbono fronteggiare obiettivamente le minori
opportunità di Torino rispetto ad altri centri. Per questa via si
finisce solo nel riproporre una spirale fiscale negativa, nella quale le
fasce più abbienti lasciano la città e ci sono sempre meno risorse per i
servizi, visto che chi rimane ha bisogno di servizi ma non è inj grado
di pagarli. La strada plausibile per affrontare l’impasse, quella di una
collaborazione ben costruita tra pubblico e privato, per inciso anche a
proposito di periferie, è avversata ideologicamente da chi vede il
futuro nel ritorno del pubblico ad ogni costo.- Si è accennato
prima alla questione della mobilità e dei trasporti. Il tema della
seconda linea di metropolitana è in tal senso essenziale. Attuare il
percorso nord – sud (senza entrare qui nel merito delle specifico della
linea) permette di consolidare tutti i suggerimenti precedenti entro un
quadro ragionevole di valorizzazione degli immobili e di evoluzione in
prospettiva della composizione sociale delle periferie, con la
potenzialità di facilitare l’insediamento di nuova popolazione
studentesca, in linea con la prospettiva di Torino Città degli Studi, e
anche la valorizzazione degli immobili secondo i canoni moderni di
utilizzo temporale (AirBnB). Va da sé che questo condurrà anche ad una
maggiore appettibilità per insediamenti di terziario e industria
sofisticati (a meno che non si voglia mettere tutta quanto in pochi
grandi contenitori come TNE..). Nell’attesa ultra decennale che ciò si
verifichi ci vuole però un breve-medio termine convincente, in termini
di preferenze per percorsi riservati al trasporto pubblico in modo
alzarne la velocità commerciale.- I buoni rapporti
della Città con Cassa Depositi e Prestiti, lascito delle precedenti
amministrazioni, esercita tuttora qualche effetto. Sono numerosi i
progetti di trasformazione urbana all’attenzione di CDP in varie zone
cittadine. Si tratta però di spostare l’attenzione di questo importante
player dai progetti di riconversione di vaste aree, anche ex
industriali, ad una serie di interventi più piccoli ma coordinati e
improntati a quella cooperazione di quartiere di cui si è accennato in
punti precedenti. si tratta, in sostanza, di creare un certo numero di
volani di cambiamento, diffusi sul territorio e curati con perseveranza
da una coalizione tra ente locale, interessi diffusi e player finanziari
attenti ad una dimensione sociale del proprio investimento.- Parlando di
periferie qui si è fatto cenno solo alle problematiche strettamente
torinesi, ma è evidente che molte idee e ragionamenti si applicano alla
dimensione metropolitana, perlomeno nella cerchia più vicina al
capoluogo. L’assenza di un senso profondo di responsabilità e di
condivisione con l’area vasta attorno alla città è del resto uno dei
connotati politici più chiari e peggiori dell’attuale governo cittadino,
che in questi giorni tenta goffamente con le parole del Vicesindaco di
contrapporre le circoscrizioni torinesi ai Comuni del vicinato.
Nel mettere a punto
alcune idee per l’avvio di una elaborazione politica sul tema delle
periferie torinesi, è opportuno evidenziare due istanze in certo modo
preliminari:
-
Le periferie
torinesi sembrano storicamente essere piuttosto impermeabili ad
evoluzioni relativamente veloci. E’ l’esperienza storica della zona
attorno al Lingotto: il quartiere – o meglio il borgo – accanto alla
fabbrica antica che da decenni ha mutato radicalmente connotato è
tuttora abbastanza immutato rispetto a quello che era all’epoca Fiat.
Allo stesso modo, vi è la sensazione credibile che altre situazioni
simili – caso Nuvola Lavazza o Juventus Stadium – non siano in grado di
avviare da soli una trasformazione di rivitalizzazione delle aree
circostanti. Vi sono peraltro motivi per apprezzare positivamente questo
fatto (la città esprime una forte resistenza verso quei cambiamenti che
implicano una rapida sostituzione della popolazione residente con altra
più abbiente, la cosiddetta gentrificazione) e motivi per pensare che
oggi un dinamismo maggiore non solo è possibile, ma probabilmente
necessario: in ogni caso è un fattore da considerare. -
Da un punto di
vista più politico, nel delineare una riflessione in proposito, va
sottolineata l’importanza di definire proposte e modalità di azione in
grado di attrarre consenso e condivisione politica. Quello che per usare
un termine sentite negli incontri di Alleanza è “al di là di Corso
Regina” è infatti un terreno necessario per consolidare un consenso che
alleanze sociali strettamente stile – Castellani non sono più in grado
da sole di realizzare in misura sufficiente. Dunque è necessario
riflettere su un forte connubio tra proposta, credibilità e facilità di
comunicazione.
In merito ai due
punti precedenti è utile partire da alcune aspetti “immobiliari”. A
parte una quota tuttora di pertinenza ATC, non molto estesa, il
patrimonio immobiliare delle periferie è largamente costituito da
piccola proprietà familiare, storicamente appartenente a famiglie di
reddito medio e anche medio basso, in misura significativa legata ad
abitazione anziane pre Anni Settanta, e da condomini Anni Ottanta. Oggi
tale patrimonio è sostanzialmente fuori mercato, per ragioni di
decadimento degli edifici, forti costi energetici e di gestione, mutato
contesto demografico ed altro ancora. Chi ha una parte della propria
ricchezza immobilizzata in tali asset non riesce a valorizzarla, e anche
dal punto di vista ereditario spesso non c’è appetibilità. Si tratta di
una situazione ben descritta a proposito di Mirafiori e Vallette (vedi
La Stampa di oggi in cronaca torinese).
Allo stesso tempo,
questo aspetto “chiuso” delle periferie ha un suo contraltare nella
chiusura delle relazioni sociali che colpisce tali ambienti. La crisi
economica e le difficoltà di occupazione, in particolare dei giovani,
insistono su un tessuto sociale dove spesso è forte la convinzione che
non valga la pena investire in formazione, in creatività, in esperienze
diverse, spesso per oggettiva mancanza di risorse economiche adeguate.
Senza scambio con l’esterno, però, le periferie tendono a divenire
ghetti, dove cresce più la frustrazione che la voglia di mettersi in
gioco, e le risorse giovani migliori scappano.
Qui entra in gioco
la politica immobiliare posta in essere dalla parte pubblica (il Comune)
ma anche dai grandi player immobiliari entrati in vario modo in scena
sia nel corso della trasformazione torinese (le Spine) sia negli anni
più recenti, per quanto assai più aridi sotto questo profilo. Non senza
differenze tra caso e caso, va detto che spesso l’attenzione circa il
lato sociale anziché puramente urbanistico e fondiario della
trasformazione avviata è stata modesta, e non raramente questa mancanza,
e la conseguente perdita di qualità sociale della vita locale ha
contribuito ad abbassare la redditività dell’investimento immobiliare
stesso, in parte già in capo ai promotori, e in parte notevole in capo a
coloro che hanno acquistato successivamente. Questo avviene al netto
della crisi immobiliare: è una componente aggiuntiva che si aggiunge
alle difficoltà generali del mercato. Va detto, peraltro, che esistono
casi in Europa di comportamenti assai diversi da parte degli operatori
immobiliari: addirittura, vi sono casi nei quali l’avvio effettivo della
valorizzazione immobiliare è stata preceduta da un periodo più o meno
esteso di investimenti per facilitare la dinamica sociale, o quanto meno
la tenuta di un tessuto di vicinato fatto di legami, collaborazioni e
disponibilità ad accettare novità e piccoli cambiamenti, quale fattore
che avrebbe poi nel tempo garantito il buon inserimento della
valorizzazione progettata. Sotto questo profilo, vi sono segnali che
spingono a pensare che in alcune aree le condizioni attuali non sono
negative per avviare questo percorso. Esiste una vitalità innegabile
rappresentato dalle associazioni di via, dalla presenza di aggregazioni
giovanili non del tutto esauste, da un livello di criminalità contenuto
rispetto a quanto una certa divulgazione fa credere.
Nella parte che
segue propongo alla considerazione degli amici due ambiti di proposte:
la prima più concentrata sul breve periodo e su azioni in buona misura
alla portata della politica locale, meglio se assecondata sul piano
nazionale; la seconda invece contiene qualche valutazione più strategica
e di lunga gittata.
Per venire rapidamente ad osservazioni e proposte in grado di stimolare la messa a punto di una proficua proposta di programma:
-
L’obiettivo
principale da considerare consiste nell’avvicinare le periferie al
quadro di relazioni ed opportunità che è a disposizione di altre zone
del tessuto cittadino. Oggi questa strategia passa per programmi
pubblici di investimento (seconda metropolitana, come si dirà) ma anche
per iniziative leggere di solidarietà, recupero di qualità urbana,
rilancio di solidarietà orizzontali. -
Come è noto, la
casa è oggetto di una serie di trattamenti fiscali di favore per quanto
riguarda la ristrutturazione, non solo energetica. La dimensione di
questi trattamenti è finora stata pensata in chiave sostanzialmente
individualistica, anche per evitare contese condominiali. Tuttavia è
concepibile una estensione in chiave locale, di prossimità per così
dire:-
In direzione della
solidarietà: già oggi cooperative immobiliari torinesi raccolgono dagli
associati una quota destinata a soccorrere i soci in caso di difficoltà
non volontarie nei pagamenti, senza alcun sconto fiscale. Perché non
battersi per un riconoscimento in tal senso, da offrire in modo
appropriato anche in ulteriori direzioni? -
In direzione della
qualità e del decoro: perché non un sistema di incentivi per ridefinire
gli esterni, anche alla luce di un “condominio verde” in chiave meno
glamour di Milano ma più diffuso e coinvolgente?
-
In direzione della
-
C’è anche un
passaggio ulteriore, dato dall’applicazione di una sorta di “bonus
artistico” da spendere sulle case e da rendere appetibile per giovani
artisti e per opere da collocare sulle facciate, negli atri o nei
cortili, piuttosto che adoperare Luci d’Artista per fare strampalate
iniziative di apostolato missionario. -
A proposito dei
cortili, Torino vede parecchi isolati delle periferie caratterizzati da
interni-cortili un tempo ad uso industriale o di artigianato, oggi
abbandonati con un lascito di capannoni e ambienti in disuso. Questo
deserto è stato oggetto nel recente passato di idee progettuali da parte
di studi di architetti e designer con temi e suggestioni che andrebbero
ripresi e supportati. -
Nel quadro di una
cucitura assolutamente da perseguire con l’associazionismo e la
spontaneità locale un tema interessante è quello del “guerilla
gardening”, ovvero delle ripiantumazione di aree non da parte del
servizio pubblico ma da parte di cittadini più o meno strutturati al
riguardo. Con le ovvie cautele, sarebbe utile fare leva su tali energie
piuttosto che avversarle. Collegato a ciò, vi è anche un problema di
valorizzazione delle aree verdi periferiche, piuttosto vaste (Parco
Colonnetti, verde tra via Biologna e via Petrella) ma poco vissute dalla
città nel suo insieme. -
In altre città, il
coinvolgimento della piccola proprietà in iniziative pubblico –private
volte a supportare nel tempo il valore immobiliare della loro ricchezza è
una forma potente di affiancamento alla trasformazione urbana a regia
pubblica: esiste a Torino un quadro generale che ne possa fare oggetto
di sostegno ad una proposta politica? A parere di chi scrive oggi questa
è una riflessione opportuna e il momento potrebbe essere interessante
al riguardo.
Passando a problematiche più strutturate:
-
Occorre in prima
battuta esprimere un giudizio su quanto messo in opera dall’attuale
governo municipale a proposito delle periferie, com’è noto suo cavallo
di battaglia nel periodo elettorale. Sembra di poter dire al riguardo
che si tratta di un risultato estremamente scarso, senza indirizzi e
senza continuità. Si è trattato più che altro di un tentativo saltuario
di ravvivare l’ordinaria amministrazione dovuta, proponendola come un
importante svolta all’insegna del piccolo e bello (senza accento). -
Per ciò che
concerne le politiche antisfratto e della casa, l’amministrazione
attuale ha in sostanza mantenuto la linea già intrapresa da quella
precedente, puntando a sostenere fin dove possibile la permanenza dei
morosi nei loro appartamenti tramite patti e transazioni con i
proprietari, ridimensionando sia il social housing di emergenza che
quello più strutturale. L’azione si è concentrata sull’acquisto di
alloggi vuoti e disponibili a breve termine, piuttosto che sulla
creazione di nuclei abitativi orientati socialmente e supportati dalla
figura del gestore sociale. Questa strada, con tutti i limiti derivanti
da una legislazione piemontese del tutto inappropriata, è stata invece
perseguita dal privato sociale. Allo stesso modo le intuizioni di ATC
circa la necessità di affiancare al tema della casa quello di un welfare
più dinamico ed adeguato ha trovato lettera morta in Comune, e maggiore
attenzione in Regione. -
Un accenno va fatto
alla questione delle risorse disponibili per l’ente locale per
implementare iniziative. Senza entrare in questa sede nel merito di
singoli provvedimenti, vanno invece evidenziate le contraddizioni
politiche in questo campo. La prima, più evidente, riguarda il fatto che
in presenza di un Governo Nazionale pronto a fare deficit spending
senza curarsi degli effetti secondari, abbiamo invece un Governo Locale
che esegue solo tagli e manovre di ridimensionamento, come se fosse il
vero erede di Quintino Sella. L’idea che date le politiche nazionali
sarebbe possibile, anche politicamente, chiedere più impegno rispetto a
Torino sfugge totalmente (e infatti Roma si fa pagare il proprio debito
da tutti noi..). inoltre la china di aumentare le tasse locali – a vario
titolo, dai parcheggi a tasi e tari etc (manca solo la tassa sul
macinato ..) – non è neutra, non sfugge a chi deve decidere se venire
qui piuttosto che andare a Milano o a Novara: la conseguenza è di
rendere la città sempre meno appetibile per le famiglie e il
mid-management, che già debbono fronteggiare obiettivamente le minori
opportunità di Torino rispetto ad altri centri. Per questa via si
finisce solo nel riproporre una spirale fiscale negativa, nella quale le
fasce più abbienti lasciano la città e ci sono sempre meno risorse per i
servizi, visto che chi rimane ha bisogno di servizi ma non è inj grado
di pagarli. La strada plausibile per affrontare l’impasse, quella di una
collaborazione ben costruita tra pubblico e privato, per inciso anche a
proposito di periferie, è avversata ideologicamente da chi vede il
futuro nel ritorno del pubblico ad ogni costo. -
Si è accennato
prima alla questione della mobilità e dei trasporti. Il tema della
seconda linea di metropolitana è in tal senso essenziale. Attuare il
percorso nord – sud (senza entrare qui nel merito delle specifico della
linea) permette di consolidare tutti i suggerimenti precedenti entro un
quadro ragionevole di valorizzazione degli immobili e di evoluzione in
prospettiva della composizione sociale delle periferie, con la
potenzialità di facilitare l’insediamento di nuova popolazione
studentesca, in linea con la prospettiva di Torino Città degli Studi, e
anche la valorizzazione degli immobili secondo i canoni moderni di
utilizzo temporale (AirBnB). Va da sé che questo condurrà anche ad una
maggiore appettibilità per insediamenti di terziario e industria
sofisticati (a meno che non si voglia mettere tutta quanto in pochi
grandi contenitori come TNE..). Nell’attesa ultra decennale che ciò si
verifichi ci vuole però un breve-medio termine convincente, in termini
di preferenze per percorsi riservati al trasporto pubblico in modo
alzarne la velocità commerciale. -
I buoni rapporti
della Città con Cassa Depositi e Prestiti, lascito delle precedenti
amministrazioni, esercita tuttora qualche effetto. Sono numerosi i
progetti di trasformazione urbana all’attenzione di CDP in varie zone
cittadine. Si tratta però di spostare l’attenzione di questo importante
player dai progetti di riconversione di vaste aree, anche ex
industriali, ad una serie di interventi più piccoli ma coordinati e
improntati a quella cooperazione di quartiere di cui si è accennato in
punti precedenti. si tratta, in sostanza, di creare un certo numero di
volani di cambiamento, diffusi sul territorio e curati con perseveranza
da una coalizione tra ente locale, interessi diffusi e player finanziari
attenti ad una dimensione sociale del proprio investimento. -
Parlando di
periferie qui si è fatto cenno solo alle problematiche strettamente
torinesi, ma è evidente che molte idee e ragionamenti si applicano alla
dimensione metropolitana, perlomeno nella cerchia più vicina al
capoluogo. L’assenza di un senso profondo di responsabilità e di
condivisione con l’area vasta attorno alla città è del resto uno dei
connotati politici più chiari e peggiori dell’attuale governo cittadino,
che in questi giorni tenta goffamente con le parole del Vicesindaco di
contrapporre le circoscrizioni torinesi ai Comuni del vicinato.
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